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Storie
Gareggiando trasformiamo i nostri istinti rabbiosi e potenzialmente guerrafondai in competizione.

È qualcosa di evoluto ed evolutivo.

Lasciandoci appassionare dalla maratona ci apriamo alla sofferenza e alle emozioni che da li vengono generate.

In fondo nulla di diverso dal permetterci di viverci e percepirci come esseri umani.

Di Cesare Picco Psicologo, psicologo dello sport e maratoneta. Estratto da un brano uscito su La repubblica dei runner.
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Secondo me associare la solitudine al podismo rischia di essere fuorviante.

Almeno lo è se intendiamo la solitudine come assenza di relazione.

Credo sia più utile domandarci quale sia la relazione in atto quando non dialoghiamo con le persone intorno a noi.

Quale è quindi la relazione che avviene superato il famigerato muro del 30esimo km o quando svolgo un allenamento senza compagni di strada?

Cosa significa in tal senso solitudine?

La risposta è semplice.

Siamo in relazione con noi stessi.

Di Cesare Picco, psicologo dello sport e maratoneta. Estratto da un brano uscito su La Repubblica dei runner.
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Il nostro organismo può essere bene rappresentato da un’orchestra.

Gli strumenti presenti sono molteplici: cuore, polmoni, cute, reni, organi genitali, muscolatura, ecc.

Ogni organo sviluppa un suono caratteristico e l’insieme delle parti crea una singolare musicalità melodica, che è diversa dalla somma delle parti singole.

Come nell’esempio precedente, se il suono di ogni strumento è nitido e l’accordo interno è buono percepiremo un senso di armonia corporeo.

Potrebbero però capitare alcuni momenti nella nostra vita in cui un organo/strumento inizi a stonare, stridere, essere eccessivamente presente o, al contrario, sommesso.

Questi segnali indicano la presenza di un livello stressogeno dannoso.

Un importante feedback sul nostro livello di stress e sul punto in cui siamo situati nella curva stress-performance ci può arrivare dal nostro corpo/orchestra e dal suono che gli organi/strumenti emettono.

Ascoltando la melodia, il grado di coordinamento degli strumenti, l’intensità e la qualità sonora che ognuno produce, potrò quindi comprendere il mio livello di stress.

Tratto dal libro “Stress & performance atletica” di Cesare Picco, Edizione Psiconline.

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Nell’economia di una prestazione lo stress gioca un ruolo centrale.

I nostri risultati sportivi e le nostre performance in gara e in allenamento sono infatti strettamente connessi al livello di stress a cui ognuno di noi è sottoposto.

Un livello di stress troppo basso o troppo alto potrà infatti danneggiarci rendendo la performance scadente.

Un livello di stress ottimale potrà invece permetterci di utilizzare pienamente le nostre risorse fisiche e mentali.

Un livello di stress ottimale non renderà una persona comune veloce come Usain Bolt, capace di guidare una bici come Vincenzo Nibali o agile e forte come Kilian Jornet Burgada.

Gli permetterà però di essere performante al massimo delle sue capacità.

Tratto dal libro “Stress & performance atletica” di Cesare Picco, Edizione Psiconline.
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Per abituare il nostro fisico e la nostra mente a distanze sempre più ragguardevoli, è indispensabile dare fondo alle nostre energie e alla nostra forza di volontà.

Iniziare un programma di allenamento per una maratona significa incamminarsi lungo un sentiero che, come abbiamo appena visto, ci condurrà… da un’altra parte.

Per gli amatori modesti come me, quattro allenamenti settimanali sono sufficienti; ma preparare una maratona significa anche curare alimentazione e riposo.

E molto altro.

Significa imparare a programmare, ad attendere, a posticipare il piacere […]

Preparare una maratona significa inoltre che per provare a ottenere un risultato, ancora lontano nel tempo e che non abbiamo alcuna certezza di raggiungere, occorre faticare con costanza per settimane, facendosi assalire più e più volte da dubbi sulla sensatezza della nostra avventura.

Preparare una maratona detta perciò una regola severa: non c’è quasi mai proporzione tra l’impegno profuso e ciò che quell’impegno potrebbe far ottenere.

Ecco perché sono convinto che tutti debbano […] correre almeno una maratona nella vita.

(Tratto dal libro Runningsofia. Filosofia della corsa di Claudio Bagnasco, fondatore di Bed&Runfast.)
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Correre, in altre parole, ci insegna anche a perdere.

Ci insegna cioè che si può preparare una gara per mesi – allenandosi, alimentandosi e riposando con scrupolo – e poi, per quanto alla partenza ci si senta nella migliore condizione psicofisica, fallire.

E fallire è istruttivo per più di una ragione.

Perché, nuovamente, tiene a freno ogni ipotesi di slancio superomistico; inoltre perché ogni fallimento lascia una sensazione malinconica, la cui causa non va cercata nella delusione che patiamo o che temiamo di dare a chi avrebbe scommesso su una nostra riuscita.

Il fallimento evoca, più o meno apertamente, quel buio senza nome che ci precede e segue.

Il fallimento nega al pieno della vita di imporsi in maniera definitiva sul vuoto.

Il fallimento proviene da quel vuoto, e quel vuoto proviene dalla morte.

(Tratto dal libro Runningsofia. Filosofia della corsa di Claudio Bagnasco, fondatore di Bed&Runfast.)
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Correre, correre faticando, offre un altro prezioso insegnamento: allena alla disciplina e alla rinuncia.

Oggi siamo fatalmente attratti dalla quantità e dalla distrazione, che della quantità è figlia; il nostro io bulimico è bramoso di sfiorare cose, di sfiorare esperienze, senza mai soffermarsi su alcunché.

Forse perché l’illusione di espandersi all’infinito è, di nuovo, illusione di eternità.

La corsa ci dimostra invece che non si può essere tutto né avere tutto.

Siamo esseri finiti, finiti sono il nostro spazio, il nostro tempo e le nostre possibilità; ma se accettiamo questa finitezza, circoscrivendo un ambito d’azione e dedicandovici con tutta la nostra passione, con tutta la nostra concentrazione, possiamo ricavarne gioie grandi.

Gioie grandi ed effimere, d’accordo, che non ci garantiranno l’immortalità, che al contrario ribadiranno la nostra minuscola presenza nell’universo; ma è pur sempre la nostra presenza, non disponiamo d’altro, ed è proprio la somma di tutte le minuscole presenze a formare l’universo.

(Tratto dal libro Runningsofia. Filosofia della corsa di Claudio Bagnasco, fondatore di Bed&Runfast.)
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Correre è mettersi in difficoltà, smarrirsi, provare ciò che ogni giorno provano appunto tutti gli altri animali: la meraviglia e il pericolo di esistere.

Il pericolo, sì: ciascun animale vive costantemente in bilico, esposto all’imprevedibilità delle forze naturali, eppure è l’essere umano l’unico ossessionato dall’idea della conservazione, dell’eternità.

Che è poi l’ossessione dell’io.

Io devo esserci il più a lungo possibile; se non ci sono più io non c’è più il mondo. Io, io, io.

Ma correre aiuta a svincolarsi dall’ossessione dell’io.

Correre ci ridimensiona.
Sia nel senso che assesta salutari sforbiciate a ogni eventuale tentazione narcisistica, sia perché ci ricolloca nella nostra posizione di animali tra altri animali.

(Tratto dal libro Runningsofia. Filosofia della corsa di Claudio Bagnasco, fondatore di Bed&Runfast.)
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Correndo dismettiamo il nostro ruolo sociale, con tutta la sua teoria di obblighi e rituali, per riscoprire l’appartenenza al regno animale.

E non è davvero cosa di poco valore ricordarsi – anzi, provare sul proprio corpo – che siamo anche e soprattutto altro, essenzialmente altro, rispetto al compagno premuroso, al genitore comprensivo, al lavoratore esemplare, al consumatore informato che ogni giorno mostriamo di essere.

Ma chi corre, specie sulle lunghe distanze, non lo fa per sovrapporre all’io un altro io.

Non c’è guadagno, nella corsa.

L’attitudine al guadagno, all’accumulo, alla collezione, caratterizzano semmai l’uomo inserito in una società – la nostra – che quasi impone da un lato di esporsi, esibirsi, e dall’altro di sciorinare competenze, conquiste, capacità di costante aggiornamento e fulmineo adattamento.


(Tratto dal libro Runningsofia. Filosofia della corsa di Claudio Bagnasco, fondatore di Bed&Runfast.)
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Qualche tempo fa ho pensato una cosa.
Tutti i miei conoscenti – diciamo dai trenta ai settant’anni – che hanno corso e corrono con dedizione, ne portano i segni in volto.
Intendo dire che nessuno di loro dimostra meno degli anni che ha. […]
Affermiamolo senza vergogna: la corsa li sta consumando.
Forse, come ho scritto nell’introduzione, sono le conseguenze di una passione amorosa.
O forse chi sceglie di consegnarsi alla corsa sceglie in verità di consegnarsi alla natura […] .
Sì, correre è consegnarsi alla natura; e allora il tempo dedicato agli allenamenti e alle gare non è tempo perso,[…] bensì tempo in cui si va a ricordarsi chi siamo, a chi apparteniamo.
Per cui no, ritiriamo quanto appena detto, correre non è consegnarsi alla natura, per il semplice motivo che dalla natura non abbiamo alcuna possibilità di allontanarci.
Semmai correre è farsi bastare l’appartenenza alla natura. […] La natura, invece, ci dice soltanto di essere – cioè stare e andare – fino a quando riusciremo.
E poi? E poi basta, come è per qualunque altro animale, che non perde un istante della propria esistenza a domandarsi cosa rimarrà di sé dopo la morte.

(Tratto dal libro Runningsofia. Filosofia della corsa di Claudio Bagnasco, fondatore di Bed&Runfast.)
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